L'uso delle maschere

 

A proposito dell’indossare delle maschere nelle varie situazioni della nostra vita, ci siamo innanzitutto chiesti perché tante volte si sente questa necessità.
Si indossa una maschera quando si vuole essere diversi, quando si vuole “apparire” migliori per piacere agli altri nascondendo il proprio vero io.
Oltre agli esempi citati nell’approfondimento che abbiamo fatto con il pastore, quali quello di Anania e Saffira, del re Geroboamo e sua moglie, e di Acab, abbiamo riflettuto sulla parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18:9-14), considerando il falso atteggiamento da “cristiano” del fariseo rispetto a quello umile e sinceramente pentito del pubblicano.
Quando si indossa una maschera, ci si può sentire oppressi, colpevoli, oppure a lungo andare ci si può abituare. È indispensabile perciò eliminare queste maschere, per non restarne intrappolati e per essere in questo modo liberi.
Come fare? Bisogna essere sinceri con i propri simili e soprattutto tener presente che il Signore guarda oltre e conosce ogni cosa “E non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto” (Ebrei 4:13). Dio avverte del rischio che si corre indossando queste maschere e lo fa attraverso lo Spirito Santo.

Ci siamo poi soffermati su due esempi, uno negativo e uno positivo, riguardo l’importanza della sincerità. Si tratta di Pietro e Daniele, due personaggi i quali avrebbero rischiato la propria vita proclamando il vero. Daniele lo fece, continuò a pregare il suo Dio nonostante il decreto firmato da re Dario: Egli decise di conservare la sua testimonianza seppur fosse un deportato e non finse di essere qualcun altro (Daniele 6:8-11). Pietro al contrario rinnegò il Signore, ripetendo più volte di non conoscerlo (Giovanni 18:15-27), anche se in seguito Gesù lo riabilitò.
Molti cristiani, che come Pietro hanno conosciuto veramente il Signore, rischiano di indossare una maschera cadendo poi nella religiosità o nell’ipocrisia. Questo perché siamo umani, non siamo perfetti, ma non bisogna però in questo modo giustificarsi, piuttosto cambiare questo nostro stato, perché è volontà di Dio stimolare il credente al ravvedimento.
È necessario arrendersi e non opporsi “recalcitrando contro il pungolo”, come dice il Signore a Paolo in Atti 26:14.
Dio molte volte interviene svergognandoci, come ha fatto tramite il suo servitore Aiia nei confronti della moglie di Geroboamo (I Re 14:2-6).
Abbiamo ricordato altri due episodi: quello di Saul, svergognato da parte del Signore tramite Samuele, perché peccò risparmiando il re degli Amalechiti e il bestiame, non sterminando quindi ogni cosa come gli era stato comandato da Dio (I Samuele 15:13) e di Gheazi, svergognato da parte del Signore tramite Eliseo, perché nonostante la volontà di Eliseo di non accettare nessun regalo da parte di Naaman, Gheazi mentì dicendo di essere stato mandato da lui per accettare la ricompensa (II Re 5:20-27).

In conclusione, è giusto porsi la domanda: come è possibile “distruggere” queste maschere? La risposta la troviamo in questi due versi, i quali ci invitano a rinunciare a noi stessi e a lasciarci istruire da Dio (Colossesi 3:5 e Salmi 32:8-11).

A cura dei giovani della Chiesa



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